Medioevo e formaggi: come un alimento umile diventa moneta di scambio

La storia dell’umanità ci racconta che il rapporto tra gli uomini e il formaggio non è sempre stato idilliaco: tra sospetti, credenze, leggende, informazioni nutrizionali contrastanti, il formaggio ha trascorso alti e bassi rispetto alle abitudini alimentari. Per esempio, nel Medioevo, la cultura medica aveva perplessità rispetto ai misteriosi meccanismi di produzione dei formaggi, all’alchimia della coagulazione e della fermentazione per cui i medici medievali nel dubbio consigliavano l’astensione dal consumo eccessivo di formaggi e ne ponevano dei limiti. Un adagio della Scuola Medica Salernitana recitava: «Caseus est sanus quem dat avara manus» (il formaggio è salutare solo se mangiato a piccole dosi). Eppure, fu proprio nel Medioevo (tra XIV e XV sec.) che ebbe inizio un percorso di nobilitazione del formaggio come cibo per aristocratici e sostituto della carne nei giorni di astinenza infrasettimanali, quaresimali e di vigilia.

L’evoluzione della cultura casearia nel Medioevo

Il formaggio stagionato, in particolare, era mal considerato nel medioevo perché – stando ai manuali di medicina dell’epoca – pesante da digerire, poco nutriente e nocivo per stomaco e intestino in quanto genera bile, dolore ai reni, fa venire la gotta, la renella e i calcoli, a differenza del formaggio fresco che invece nutre, soddisfa l’appetito, calma le infiammazioni e giova agli ammalati di tisi. La manualistica medievale, insomma, metteva i prodotti caseari alla gogna sulla base di considerazioni teoriche relativi ai processi di fermentazione, teologiche legate alle letture sacre dove il formaggio è legato al concetto di putrefazione e marcescenza e, infine, anche considerazioni di ordine pratico ed estetico (odore, gusto e olfatto non sempre giocano a favore dei formaggi). Tuttavia, la dietetica medievale si poneva come obiettivo un regime alimentare equilibrato in base alla qualità del cibo, alle variabili ambientali e alla tipologia di consumatore, il suo stato di salute, il lavoro, l’età, il genere. La combinazione degli elementi forniva indicazioni e suggerimenti sugli accostamenti dei cibi e la successione di assunzione delle vivande. Risale sempre al Medioevo, l’idea che i formaggi a fine pasto servissero a pulire la bocca e accelerare il processo digestivo.

Il consumo di formaggi nel Medioevo era anche una questione di “ceto sociale”: sulle case umili e contadine, il formaggio era il principe della tavola, mentre negli ambienti nobiliari, compariva solo come elemento decorativo sulle tavole o per accompagnare vivande più elaborate. In ogni caso, anche negli ambienti aristocratici si assiste a una lenta, ma decisa riabilitazione dei formaggi e delle loro proprietà in virtù dei monasteri, che imposero con costanza l’abitudine di consumare formaggi anche tra la nobiltà arrivando a ribaltare il ruolo e rivalutare il prodotto in termini economici, culturali e alimentari.

La rivoluzione monacense

La zootecnia medievale prediligeva l’allevamento ovino perché principalmente sostenuto dall’industria tessile e laniera dell’epoca. L’allevamento bovino stanziale ebbe inizio nei monasteri comportando uno sviluppo e una concezione diversa anche della produzione casearia: l’insegnamento benedettino dell’ora et labora, la necessità di ricorrere a un regime alimentare di “magro”, in determinati periodi dell’anno, l’introduzione di tecniche di coltivazione a maggese e tante altre “novità” culturali che presero piede in ambito monastico rivoluzionò anche la visione e il consumo dei prodotti caseari. Formaggi come il Grana, il Montasio o la mozzarella nascono proprio nelle abbazie e il fenomeno non era solo italiano, ma europeo perché i pellegrini venivano sfamati a pane e formaggio di ogni tipo e varietà per dare subito sostentamento e ristoro. La pratica monastica – in aperta opposizione alle indicazioni mediche – rilanciò l’immagine del formaggio e la sua funzione alimentare. La necessità di astenersi dalle carni sostituendola con cibi quali il pesce, le uova e i formaggi, appunto, imposta alla regola monastica, si impose anche nelle case dei nobili, dei re e delle corti in cui il rispetto delle norme ecclesiastiche significava anche l’acquisizione dei favori della Chiesa, il cui consenso e potere erano importanti nel Medioevo. Per via indiretta, il formaggio acquista prestigio e dignità: fino a un terzo dei giorni dell’anno – tra vigilie, quaresime e astinenze – era dedicato al consumo di altri cibi che non fossero la carne e il formaggio compensava bene sia a livello nutrizionale che pratico gli alimenti proibiti. Le tecniche produttive migliorarono e la presenza in Italia di una quantità così capillare di produzioni casearie è testimonianza di un’arte che non ha più incontrato ostacoli e che ha contribuito a caratterizzare la nazione odierna.

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